«Brebemi, irregolare l’80% del materiale fornito da Locatelli»
La perizia: pochi veleni, ma grosse scorie. In tre casi su 35 cromo e arsenico oltre i limiti. A Calcinate «l’impianto Biancinella è stato modificato rispetto alle autorizzazioni ricevute dalla Provincia»
I «veleni» ci sono solo in due campioni su 35 per quanto riguarda il cromo e in uno per l’arsenico. Ma la perizia voluta dal gip di Brescia Cesare Bonamartini, e finalmente consegnata al giudice nella sua versione completa, sembra inchiodare Pierluca Locatelli e i suoi consulenti e collaboratori, sul fronte della regolarità e della conformità del materiale fornito al consorzio Bbm, costruttore della Brebemi.
Senza esitare troppo i due periti Paolo Rabitti e Giampaolo Sommaruga scrivono che «nei cantieri 2 e 3 di Brebemi sono stati conferiti materiali non conformi in percentuale pari all’80%». E per cantieri «2 e 3» si intendono le due grandi aree che fanno capo a Fara Olivana con Sola e a Cassano d’Adda, dove però si gestiscono i lavori di 34 chilometri dell’opera pubblica, da Calcio a Melzo. Di quei 34, otto interessavano direttamente l’impresa «Locatelli Geom. Gabriele», che aveva sottoscritto con Bbm un contratto per fornire «materiali riciclati derivanti da scorie di acciaieria, da demolizioni edili provenienti dall’impianto di recupero Biancinella di Calcinate, e materiali riciclati derivanti da scorie di fonderia». Tutti rifiuti che, da contratto, Locatelli doveva trasformare in «materie prime secondarie (mps)» e che dovevano essere sostanzialmente «pulite», quindi prive di inquinanti, e poco granulose (altro parametro di valutazione delle forniture), quindi composte da particelle piccole e omogenee tra loro.
Considerando la «combinazione di tutti i requisiti», e confrontandola con i «campioni esaminati», scrivono i due periti, si giunge alla percentuale dell’80% di «non conformità». In particolare, per la granulosità, risultano irregolari 14 campioni su 21 per il macro cantiere di Cassano D’Adda, ovvero il 67%, e 12 su 14, quindi l’85%, per Fara Olivana. Tre tratti, all’interno dei due grandi cantieri, risultano inoltre inquinati: un campione dei 21 analizzati tra Treviglio e Melzo ha fatto scattare l’allarme cromo totale, con 158 microgrammi per litro, contro i 50 del valore limite. Cromo a 64,1 microgrammi e arsenico a 136,5 (contro un limite di 50) in altri due dei 14 campioni prelevati tra Caravaggio e Antegnate.
Non sembra essere predominante, tra le considerazioni dei periti, il rischio di inquinamento, come già una serie di indiscrezioni avevano anticipato. Ma resta il punto fermo dei materiali di scarto da riciclare, scorie soprattutto, che Locatelli acquisiva, portava all’impianto di recupero in località Biancinella a Calcinate e poi forniva ad un cliente come Brebemi. «Si conferma l’ipotesi che il materiale in ingresso all’impianto, qualora transitato, sia stato solo scaricato e ricaricato direttamente senza subire trattamenti e quindi senza che sia avvenuta la trasformazione da rifiuto a materia prima secondaria», scrivono i periti commentando le analisi e una sfilza di fotografie, oltre che di numeri, consegnati al gip. Le forniture che l’autostrada riceveva non erano quindi, stando al parere dei tecnici super partes, nuove materie prime derivanti da un lavoro di pulizia e trattamento particolare, ma semplicemente rifiuti, magari «tritati in loco», al momento della posa per l’autostrada. Ecco perché, anche se in soli due punti, la concentrazione di cromo risulta comunque alta.
La lente dei tecnici è puntata proprio su quell’impianto del gruppo Locatelli, la Biancinella, dissequestrato di recente. La considerazione della perizia è chiara: i macchinari per tritare e trattare i materiali sono stati modificati rispetto alle autorizzazioni ricevute dalla Provincia di Bergamo nel maggio del 2009. «Chiaramente – scrivono Rabitti e Sommaruga – si stava utilizzando alla Biancinella un impianto mobile per tritare scorie da 31 millimetri, ma l’unico impianto autorizzato dalla Provincia di Bergamo, come un funzionario di Via Tasso ha confermato in una lettera, era di tipo fisso. Sono state diverse, quindi le modifiche rispetto alle autorizzazioni».
Ma non solo: i periti ritengono che lo stesso impianto, dopo il sequestro del 30 novembre 2011, sia stato «alterato», con la «rimozione di un cartello che indicava un cumulo di scorie da trattare». Perché? Secondo la procura perché si faceva volutamente confusione tra i cumuli di scorie ancora da trattare e quelle che si potevano già vendere. Un’ipotesi, rafforzata dalla perizia, che le difese di Locatelli tenteranno di smentire.
A.D.L.15 novembre 2012 | 9:13© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera – Edizione Bergamo